Repertum – Le interviste ai protagonisti

repertum_mostra

Dal 15 marzo al 3 maggio 2015 l’arte contemporanea è ospite al Museo Archeologico del Fiume Bacchiglione a Cervarese Santa Croce.

Alex Bellan, Antonio Guiotto, Elena Hamerski sono i protagonisti della mostra Repertum, ogni dato emerso curata da Marco Tondello.

Quando: 15 marzo – 3 maggio 2015
sabato 15.00 – 19.00
domenica e altri festivi 9.30 – 12.30 / 15.00 -19.00
da lunedì a sabato mattina su prenotazione

Ingresso: intero 4 € – ridotto 2 €

Info: info@museicollieuganei.itwww.museicollieuganei.it

Francesca Manni ha intervistato il curatore Marco Tondello e gli artisti.

Quando ho ricevuto l’invito di Antonio Guiotto all’inaugurazione di Repertum, ogni dato emerso, sono rimasta piacevolmente colpita dal luogo espositivo, decisamente inusuale per l’arte contemporanea.

Così, un sabato di fine inverno, mentre il sole veniva inghiottito dalle acque del Bacchiglione, mi aggiravo tra le sale del Museo Archeologico nel Castello di San Martino della Vaneza, scoprendo installazioni di arte contemporanea inserite tra i reperti emersi dal fiume.

Ho incontrato Marco Tondello, curatore giovanissimo, che è riuscito a realizzare il progetto, un sogno un po’ nostalgico di rivalorizzazione dei luoghi delle sue origini, che sono anche le mie. L’idea di fondere archeologia e arte contemporanea si è sviluppata grazie all’intervento di tre artisti che hanno fatto parte del GAI, un’istituzione che vede nel rapporto con i territori proprio il suo punto di forza. Antonio Guiotto e Alex Bellan sono un cresciuti anche grazie all’Area Creatività dell’Ufficio Progetto Giovani di Padova.

La chiacchierata con Marco Tondello, il curatore

Francesca Manni: Cosa ha stimolato in te la volontà di intervenire nel Castello di San Martino della Vaneza?

Marco Tondello: Il percorso di studi mi ha reso più sensibile a certe situazioni e tipologie di museo, anche locali. La mia propensione è quella di lavorare con l’arte contemporanea e ho trovato nel Museo Archeologico del fiume Bacchiglione un incentivo per provare ad unire queste mie due passioni. In particolare, la decisione di fare una mostra qui è nata dallo stimolo che mi ha fornito l’opera di Alex [Bellan], A seconda, un video che è stato presentato da [Renato] Barilli a Bologna, e che ha come protagonista proprio il fiume Bacchiglione. Mi interessava osservare come artisti di arte contemporanea, che lavorano con mezzi non classici, possano parlare di un determinato territorio, attraverso la loro poetica e le loro opere. Ho voluto creare una relazione tra arte contemporanea e arte del passato.

FM: Come hai deciso di coinvolgere Alex Bellan, Antonio Guiotto ed Elena Hamerski?

MT: Alex ha attirato la mia attenzione proprio con il suo lavoro sul fiume: un video di 15 ore, dall’alba al tramonto, che mostra, attraverso l’occhio di una piccola telecamera, un viaggio via acqua, da Battaglia Terme al porto di Venezia. Sono rimasto colpito da questo progetto, che indaga territori della mia origine, e ho cercato un modo per poterci lavorare.

Parlando con Antonio ho scelto di esporre opere che si rapportassero con i reperti che sono emersi dalle acque del fiume e con l’acqua stessa che proviene dal Bacchiglione. Abbiamo messo in relazione gli oggetti in esposizione nelle sale con i supporti realizzati da Antonio: calchi in gesso di contenitori industriali, che si relazionano con i recipienti custoditi nel museo. Con l’acqua fluviale ha poi creato fusioni di piombo e stagno, l’artista, rapportandosi con i riti antichi diventa come uno sciamano, riprendendo pratiche divinatorie del passato. In Qualcosa, accade, lentamente ma accade, invece, è demiurgo: racchiude l’acqua in un cilindro di vetro, costringendola in una forma ben precisa, va a creare un micro-ecosistema.

Di Elena, invece, mi ha sempre interessato la sua immagine poetica. La sua è una ricerca a livello cartografico, che affianca lo studio e la creazione di nuove geografie a quello delle proprietà materiali della carta. Taglia e ricrea nuovi mondi. Il lavoro per Repertum è intitolato Gipso-apolide: il gesso è il collante per creare recipienti che tengono unite “bandierine geografiche” create dall’artista. Inoltre, utilizzando la cartografia satellitare di Google Maps, ha indagato tutto il percorso del Bacchiglione, creando un suo rapporto personale con il territorio, che non le appartiene, e con il fiume.

FM: A chi è rivolta questa mostra? Cosa ti aspetti dal pubblico?

MT: L’ho pensata proprio per un pubblico eterogeneo. Secondo me lo spazio, il Museo Archeologico, può aiutare ad avvicinare molte persone all’arte contemporanea. L’idea è riuscire a scatenare un dialogo tra opere e artisti, ma anche tra storia e presente, pubblico e oggetti, con una domanda che dovrebbe sorgere: questo è il nostro passato e il nostro presente, ma quale può essere il nostro futuro? Le opere del museo parlano di ciò che siamo stati, gli artisti parlano di ciò che siamo, e rimane sempre l’incognita del futuro. C’è un alchimia che si deve creare tra tutti. Un modo per riflettere su quel territorio.

L'intervista agli artisti

Ho avuto l’occasione di intervistare i tre artisti protagonisti di Repertum, ogni dato emerso. Ho chiesto loro quali fossero gli stimoli che li hanno portati ad affrontare questa sfida e ad intervenire con opere di arte contemporanea in un museo che custodisce reperti antichi.

Francesca Manni: Ciao Antonio, vorrei chiedere, innanzitutto, quale aspetto ti ha colpito maggiormente di questo progetto?

Antonio Guiotto: Sicuramente la possibilità di lavorare con un curatore giovane, probabilmente alla prime esperienze, che è riuscito a creare una serie di interrogativi molto interessanti, che abbiamo sviluppato insieme all’interno del Castello. Mi ha stimolato molto l’idea di poter lavorare su un posto antico con progetti di arte contemporanea, anche se questa non è una novità, rimane una sfida per noi artisti: cercare un dialogo tra il nostro passato, il nostro presente, lasciando interrogativi sul nostro futuro.

FM: Ormai sei un artista che si sta affermando nel mondo dell’arte contemporanea. Parlando delle istituzioni del territorio, che rilevanza ha avuto, o ha tuttora per te l’esperienza al GAI di Padova e i lavori con l’Area Creatività?

AG: Chiamo il GAI “mamma GAI” perché è stata e continua ad essere un’istituzione con la quale si possono confrontare i giovani artisti, come è successo a me. Sono contento di aver fatto con loro le prime esperienze. Sicuramente mi ha permesso poi di sviluppare una certa professionalità. È un’istituzione che ho sempre rispettato e alla quale mi sento legato. Sono cresciuto grazie all’Area Creatività, e con loro continuo a mantenere un contatto non solo professionale, ma anche umano e di amicizia.

FM: Alex Bellan, come hai deciso di intervenire con un progetto di arte contemporanea in un contesto dedicato ai reperti antichi?

Alex Bellan: Il mio lavoro si è innestato in questa proposta per l’affinità che ha con lo spazio. Non è uno spazio dedito all’arte contemporanea, ma trattiene in sé una sensibilità e conserva una serie di tradizioni che mi interessa sottolineare. È uno spazio marginale e non sempre valorizzato, ma io ritengo sia un piccolo gioiello del territorio. I miei due lavori, pur non essendo inediti, hanno trovato un tipo di collocazione ed allestimento originali, che vanno a sottolineare l’idea di distanza. Un enorme spazio vuoto, infatti, li divide. Mi interessava questa dimensione di vuoto nei due lavori e il significato che questo può innescare nella lettura di entrambi. Il progetto è nato da una sensibilità radicata nella voglia di accendere un piccolo riflettore all’interno di un territorio con il quale condividiamo le nostre radici.

FM: A tale proposito, che rilevanza ha avuto, o ha tuttora per te l’esperienza al GAI di Padova e i lavori con l’Area Creatività?

AB: Il GAI è stato la prima esperienza che ho avuto come artista. Un modo per imparare e mettermi in gioco. Ha avuto un ruolo propedeutico per la pratica che continuo a svolgere. La terza artista selezionata da Marco non è originaria del territorio padovano, ma lavora con la geografia, attraverso la manipolazione di cartine e dei confini fisici e politici, che lei modifica creandone di nuovi ed immaginari.

FM: Elena Hamerski, non vivi nella provincia di Padova, e anche per questo il tuo lavoro risulta interessante per la capacità di integrarsi con il luogo. Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta del curatore?

Elena Hamerski: I miei lavori si concentrano sulla manipolazione di le cartine geografiche, anche molto datate, quindi parte già dal reperto. Da parte mia la risposta positiva al suo invito è stata naturale, è un progetto che sento molto vicino. Ho deciso di legare l’idea della cartina e del reperto con un materiale che riesce a creare delle situazioni liquide, con una consistenza che può ricordare quella dell’acqua: il gesso. Così ho creato questi oggetti che sono bacinelle di gesso, che tengono uniti ritagli di cartine geografiche.

FM:  La tua esperienza con il GAI si è svolta in un’altra regione. È stato importante per la tua formazione artistica?

EH: Il GAI di Forlì in passato è stato molto attivo e anche ora ricevo proposte interessanti. È stato un punto di partenza molto stimolante per molti artisti del territorio di Forlì. Molti risiedono ormai all’estero anche grazie al lavoro del GAI. Purtroppo per me, invece, è stata una parentesi non molto felice, e non mi è stato permesso di sfruttarlo come avrei voluto.