Per fare dell’esperienza un ricordo, il nostro cervello fa esattamente quello che accade quando si racconta una storia: prende soltanto le emozioni e le informazioni salienti, le lega insieme con dei nessi – grazie a dei circuiti neurali dell’emisfero sinistro detti “interprete” – ed ecco che il ricordo è fatto. Un ristallo di memoria che, in qualche modo, è anche una storia. Per questo si dice che le narrazioni (e i ricordi, a questo punto) sono “il modello finito di un mondo infinito”: perché, grazie a una sintesi perfetta, si ricostruiscono esperienze belle o meno belle e le si conservano per sempre.
Tutti abbiamo avuto esperienza della pandemia e nessuno può dire che sia un ricordo bello. Eppure, adesso che il tempo è passato, possiamo andare indietro, ripescare quelle emozioni e tutte le informazioni di cui eravamo bombardati, e renderci conto che quella parte della nostra vita è ormai una storia che può aiutarci in futuro. Uno dei libri più letti in quel periodo era Spillover di David Quammen: un saggio del 2014 piuttosto profetico visto che esordiva più o meno così: “non è questione di se, ma di quando”. Ovviamente il soggetto era l’arrivo di una pandemia. In quel libro si raccontavano, dal punto di vista scientifico, esperienze che però l’essere umano aveva vissuto più volte e già raccontato altrettante sondando paure, emozioni e fatti che in quei momenti bui capitano a persone e società. In altre parole, ricorrendo a storie e ricordi.
Questo incontro parte da una di quelle storie – forse la più riuscita, la più potente e icastica – narrata da uno dei più grandi scrittori di sempre (La peste, di Albert Camus). Grazie alle sue pagine, si collegano i ricordi nostri con quelli dell’umanità intera cosicché, mescolando esperienza, scienza e letteratura, si possa ridare un senso a un vissuto che ci porteremo dietro per tutta la vita.
L’incontro è realizzato in collaborazione con Holden Classics.