In occasione del Giorno della Memoria 2021, tra le iniziative realizzate dal Comune di Padova, il 21 gennaio si è svolta la cerimonia di scoprimento delle pietre d’inciampo realizzate dall’artista Gunter Demnig, a ricordo degli ebrei deportati nei campi di sterminio.
Dal 2015 a oggi, a Padova sono state posate 28 pietre.
Nel 2021 sono state posate quattro pietre, dedicate ad altrettante vittime del nazifascismo: Ester Giovanna Colombo, padre Placido Cortese, Celina Trieste e Guido Usigli.
Ester Giovanna Colombo
Pietra installata in via San Martino e Solferino.
Nata a Padova il 9 marzo 1927, abitava in via S. Martino e Solferino, 13, con il padre Ferruccio.
Portava il nome della nonna paterna Giovanna Sattin, ariana. Grazie all’arianità della madre, Ferruccio Colombo, inizialmente arrestato e internato a Vo’, era stato rilasciato il 9 febbraio 1944, come “appartenente a famiglia mista”. Propriamente, secondo i criteri di classificazione razzista, anche sua figlia non sarebbe stata da considerarsi ‘di razza ebraica’: essendo nata da padre ‘misto’ e da madre ariana, era di fatto ebrea solo per un quarto. Ma i suoi genitori non erano sposati e la mamma, Maria Boaretto, non l’aveva riconosciuta alla nascita, e inoltre Ester Giovanna era cresciuta nella religione ebraica.
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Dopo essere vissuta per qualche tempo a Venezia, fu arrestata con una zia il 2 dicembre 1943 a Olgiate Comasco, forse in un tentativo di fuga in Svizzera. Venne internata nel campo di Fossoli, da dove, il 21 febbraio 1944, in una lettera al Ministero dell’Interno tentò di far valere la sua “arianità ex madre”, chiedendo un supplemento d’indagine sulla sua condizione razziale in base a nuovi documenti probatori, e supplicando che intanto fosse sospeso nei suoi confronti “ogni provvedimento di trasferimento”.
La richiesta fece il suo corso, e dalla Questura di Padova il 16 marzo giunse la risposta: non risultando all’anagrafe la sua legittimazione da parte della madre, Ester Giovanna doveva essere considerata “di razza ebraica” e non “mista”, né tantomeno “ariana”. Non sarebbe dunque stata liberata. Ma a quella data il tragico epilogo si era già compiuto.
Il 22 febbraio, il giorno dopo aver consegnato la sua istanza al direttore del campo, Ester Giovanna Colombo era già stata caricata sul convoglio n.8 diretto ad Auschwitz, lo stesso in cui si trovava anche Primo Levi. Non sopravvisse.
Placido Cortese
Pietra installata in via Piazza del Santo, angolo Orto Botanico.
Nicolò Cortese è nato a Cherso (Cres, capoluogo dell’omonima isola nel golfo del Quarnaro) il 7 marzo 1907.
Entrato in seminario a Camposampiero dai francescani conventuali nel 1920, ha vestito l’abito religioso con il nome di fra Placido, e, dopo il noviziato trascorso preso la basilica del Santo a Padova (1923-1924), ha compiuto gli studi presso la facoltà Teologica S. Bonaventura a Roma, ottenendo la licenza in teologia.
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Dopo l’ordinazione sacerdotale (6 giugno 1930), ha svolto il suo apostolato nella basilica del Santo a Padova e, dal dicembre 1933, nella parrocchia di viale Corsica a Milano. Nel 1937 è stato richiamato a Padova come direttore del Messaggero di Sant’Antonio.
L’interesse maggiore del padre Placido è costituito dal ministero in Basilica e dalla carità. Questa si estese anche agli internati – per lo più sloveni – nel campo di Chiesanuova (un sobborgo di Padova), deportati a seguito dell’occupazione italiana di una parte della Jugoslavia dopo lo smembramento del paese seguito alla sua invasione, e alla nascita in loco dei movimenti di resistenza.
Dopo l’armistizio di Cassibile si è impegnato attivamente per aiutare sbandati, ebrei e ricercati dal regime nazifascista. Da Padova la via della fuga in Svizzera passava per Milano, tramite padre Cortese, padre Carlo Varischi e il prof. Ezio Franceschini dell’Università Cattolica. La collaborazione tra Concetto Marchesi all’Università di Padova e Franceschini all’Università Cattolica fece nascere l’organizzazione FRA-MA. Tra le numerose persone che operavano in questa rete di salvataggio, particolare rilievo ebbero Armando Romani, le sorelle Martini (Teresa, Lidia e Liliana), Milena Zambon e Maria Borgato. Placido Cortese era anche in contatto con quel clero padovano che si impegnò attivamente fino a prendere le armi a fianco dei partigiani.
Venne tradito da due infiltrati nell’organizzazione. L’8 ottobre 1944 fu arrestato e trasferito nel bunker della Gestapo di piazza Oberdan a Trieste dove venne sottoposto a tortura fino a morire; è stato forse cremato nella Risiera di San Sabba.
Il 29 gennaio 2002 il vescovo della diocesi di Trieste Eugenio Ravignani ha dato inizio al processo di beatificazione, conclusosi il 15 novembre 2003.
Alla memoria di Placido Cortese è stata conferita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con decreto 5 giugno 2017, la medaglia d’oro al merito civile consegnata nella pontificia Basilica di Sant’Antonio di Padova dal Presidente stesso l’8 febbraio 2018, con la seguente motivazione:
«Direttore del Messaggero di S. Antonio, durante la seconda guerra mondiale nel periodo della resistenza si prodigò, con straordinario impegno caritatevole e nonostante i notevoli rischi personali, in favore di prigionieri internati in un vicino campo di concentramento, fornendo loro viveri, indumenti e denaro. Dopo l’8 settembre 1943 entrò a far parte di un gruppo clandestino legato alla resistenza, riuscendo a far fuggire all’estero numerosi cittadini ebrei e soldati alleati, procurando loro documenti falsi. Per tale attività nel 1944 fu arrestato e trasferito nel carcere di Trieste, dal quale non fece più ritorno. Fulgido esempio di alti valori cristiani e di dedizione al servizio della società civile».
Celina Trieste
Pietra installata in via delle Piazze.
Nata a Padova il 20 settembre 1906, viveva con il padre Moisè Eugenio, anziano e infermo, in una casa di corso Vittorio Emanuele, 110.
La casa era prospiciente Piazzale S. Croce (allora rinominato piazza Italo Balbo), con intorno il grande e magnifico parco disegnato da Jappelli, che, requisito alla famiglia dalle leggi razziali e lasciato in abbandono, fu subito dopo la guerra definitivamente espropriato e distrutto per far posto al quartiere di Città Giardino.
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La casa e il Parco Trieste erano stati, dal 1938, importante punto di riferimento per gli studenti della scuola ebraica, che lì si trovavano per i doposcuola organizzati da Celina Trieste, con i laboratori di lavoro manuale e di arte, sotto la guida di Tono Zancanaro, di cui Celina era amica.
Donna colta e attiva, Celina aveva studiato al Tito Livio e negli anni del liceo era stata compagna di classe di Mario Todesco, divenuto poi professore dello stesso liceo, ucciso dai fascisti nel luglio del 1944, medaglia d’oro al valore civile della Resistenza. Celina si era laureata nel 1932 in Lettere con indirizzo linguistico all’Università di Padova.
Nell’ottobre del 1943, quando tutti gli ebrei furono costretti alla fuga o alla ricerca di un nascondiglio, Celina trovò rifugio prima presso l’ospedale psichiatrico di Padova, e poi in quello di S. Clemente a Venezia. Da lì, il 6 ottobre fu prelevata dai tedeschi con altri cinque ricoverati ebrei, e portata a Trieste, alla Risiera di S. Sabba. Lì, dichiarandosi non in grado di sopportare il viaggio di deportazione, fu uccisa alla fine di ottobre.
Guido Usigli
Pietra installata in via San Martino e Solferino.
Nato a Padova l’8 luglio 1873, abitava in via S. Martino e Solferino 30. Viveva solo.
Era di condizioni economiche modeste, di professione aveva fatto l’usciere, ma, forse, avendo perduto il posto in seguito alle leggi razziali, risultò, al momento dell’arresto, cameriere.
Fu arrestato la prima volta nella sua abitazione da due agenti di P.S., nel pomeriggio del 4 dicembre 1943 ed internato nel campo di Vo’ il giorno successivo.
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Fu dimesso dopo una settimana, perché una circolare del 10 dicembre disponeva il rilascio di ebrei ultrasettantenni, o gravemente malati o di “razza mista”.
Tornato in libertà sotto vigilanza, fu arrestato nuovamente dalla polizia tedesca nella retata del 30 luglio 1944. Il campo di concentramento provinciale di Vo’ era stato chiuso il 17 luglio, e Guido Usigli fu incarcerato a Verona e da lì, il 2 agosto 1944, fu deportato ad Auschwitz sul convoglio n. 14.
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