Francesca Manfredi #giovanipromesse20

Francesca Manfredi è nata a Reggio Emilia nel 1988 e vive a Torino, dove insegna alla Scuola Holden. Nel 2015 è stata tra gli autori della serie teatrale “6Bianca” realizzata dal Teatro Stabile di Torino. I suoi racconti sono apparsi sul Corriere della Sera e su Linus. Con la sua prima raccolta di racconti “Un buon posto dove stare” (La nave di Teseo, 2017) ha vinto il Premio Campiello Opera Prima del 2017 ed è stata finalista al Premio Chiara, Premio Settembrini, Premio Berto e Premio Zocca Giovani.

Ha collaborato all’antologia curata da Giulia Muscatelli “Brave con la lingua. Come il linguaggio determina la vita delle donne” (Autori Riuniti, 2018). “L’impero della polvere” (La nave di Teseo, 2019) è il suo primo romanzo. È rappresentata dallo statunitense Andrew Wylie, uno dei più famosi agenti letterari internazionali.

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I libri

La raccolta di racconti “Un buon posto dove stare” ha vinto il Premio Campiello Opera Prima con la seguente motivazione:

Ad attraversare gli undici racconti di “Un buon posto dove stare”, esordio narrativo di Francesca Manfredi, c’è come un filo rosso riassumibile nei termini “traslochi”, inteso come costante spiazzamento dai propri luoghi dei diversi personaggi, e “case”, che attraggono, si ricordano, o respingono. Case che si aprono soprattutto all’interno, salvo poi svelare stanze misteriosamente intatte o ripostigli abbandonati o proibiti, in cui si celano inquietanti storie segrete, e dalle quali, se appartenenti al tuo passato, forse vorresti anche non essere mai uscito. Case e stanze che qualche protagonista vorrebbe eleggere ad àncora di salvezza rispetto al «fuori».
E si hanno racconti che richiamano immagini, ma soprattutto «odori» che, come sempre trattandosi di memoria, alternano piacere e sgradevolezze, in queste storie di ordinaria quotidianità che propongono personaggi di varie età, da bambini ad anziani, prevalentemente famiglie o coppie che vivono situazioni di disagio o che si sfuggono. Ne vengono personaggi che vivono di comunicazioni trattenute, fatte di silenzi e segreti, di sensazioni interiori che avvertono quasi come colpa il comunicarle agli altri. E ricordi dovuti alla casualità di un incontro con una figura, un rumore, un suono, uno sguardo, nei quali avvertono qualcosa di proprio e che resta tale perché indescrivibile da riferire con parole. Di qui la coerenza con la scrittura: originale, piana, paratattica, essenziale, sospesa tra detto e non detto. E la nota malinconica che attraversa tutto il libro e che segna personaggi che portano dentro di sé le fragilità e le incertezze dell’oggi, e nei quali solo alla fine affiora la sensazione che «Tutti abbiamo qualcosa che ci salva; solo che, a volte, è una cosa talmente piccola che non è facile da scoprire».

L’impero della polvere”, invece, è un romanzo dalla forza quieta e inarrestabile sul potere arcaico dei legami famigliari, sulle minuscole e più intime rivoluzioni di un corpo in movimento, e sull’istante esatto in cui un’infanzia finisce: quando le pareti vengono giù e le vite adulte si rivelano, è allora che non siamo più soltanto la storia di scelte anteriori, perché quello è il principio delle nostre.

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