Mediterranea 17 | Reportage

mediterranea17

di Claudia Barato e Giorgia Volpin.

Il 22 ottobre è stata inaugurata a Milano la Biennale dei Giovani Artisti d’Europa e del Mediterraneo, giunta quest’anno al trentesimo anniversario. Noi volontarie del Servizio Civile Nazionale a Progetto Giovani, nell’ambito delle nostre attività nell’area creatività, siamo andate a seguire la conferenza stampa e l’inaugurazione della manifestazione. Progetto Giovani fa parte rete della rete nazionale GAI – Giovani Artisti Italiani, ed è la sede dell’archivio per la città di Padova. Due artisti dell’archivio di Padova sono stati selezionati per esporre a Mediterranea 17, Sofia Paggioro nella sezione di arti visive e il collettivo La’Mas nella sezione di arti applicate.

La selezione delle diverse commissioni ha portato in mostra artisti anche molto giovani e comunque tutti sotto i 35 anni. Ci ha fatto piacere notare una reale attenzione alla promozione della creatività giovanile, che ha dato spazio anche a discipline artistiche diverse dalle tradizionali arti visive, integrandole con la performance, il design e le arti applicate. L’allestimento molto curato è riuscito a unificare le varie proposte, creando un percorso espositivo in grado di valorizzare le opere di tutti gli artisti.

Abbiamo avuto l’impressione che la Bjcem abbia innescato un processo comunitario di scambio tra gli artisti, finalizzato a creare un senso di comunità e di scambio creativo, realizzato attraverso gli eventi collaterali alla Biennale: l’appuntamento internazionale di Genova dal 19 al 22 ottobre, il convegno di Torino a cui sono stati invitati tutti gli artisti, la mostra collettiva degli artisti selezionati nel corso della Summer School “A natural oasis” esposti in Viafarini, i numerosi spettacoli e performance nei quattro giorni inaugurali a Milano legati alla rassegna BiennaleOff gestita da Arci Milano.

Gli artisti di diverse provenienze hanno sperimentato un clima multiculturale che emergeva fin dall’allestimento; nessuna traccia di divisioni in base alla nazionalità o alla gerarchia tra arti, ma uno spazio in cui gli artisti dei diversi paesi e i loro lavori dialogano fluidamente. Lo spazio che ospita quest’edizione di Mediterranea è la splendida Fabbrica del Vapore di Milano, luogo che da anni porta avanti un percorso di promozione dell’arte contemporanea e della creatività, garanzia di un’eccezionale visibilità per i partecipanti.

Abbiamo raccolto le dichiarazioni di Dora Bei, la presidentessa della Bjcem, nel corso della conferenza stampa e abbiamo avuto modo di intervistare il curatore della manifestazione Andrea Bruciati.

 

Dora Bei, presidentessa della Bjcem

La Bjcem – Biennale dei giovani artisti d’Europa e del Mediterraneo, è giunta quest’anno al suo trentesimo anniversario. In occasione di questa ricorrenza, si è arricchita di numerosi eventi collaterali (pre-biennale a Genova, l’esposizione “Oasis” nello spazio di Via Farini, il convegno internazionale di Torino). L’edizione 2015 si svolge a Milano, negli spazi della Fabbrica del Vapore che, anche grazie alla Bjcem, continua il suo percorso oramai affermato nell’arte contemporanea.

La scelta della città di Milano non è stata casuale; Mediterranea17 infatti si inserisce all’interno del circuito Expoincittà legato a Expo2015. Milano quest’anno è al centro dell’attenzione mondiale grazie a questa manifestazione, divenendo una vetrina d’eccezione per gli artisti esposti alla Fabbrica del Vapore.
L’esperienza della Bjcem mira a rimanere un segno forte nella città, non solo come occasione per i milanesi di scoprire linguaggi artistici diversi da quello locale, ma anche quando la biennale sarà terminata.

Quest’esposizione vuole essere un’opportunità per i giovani artisti selezionati.
Tutti gli artisti sono under 35, si tratta quindi di un’esposizione dove i lavori sono frutto di artisti e creativi realmente giovani. Mediterranea17 si presenta quindi come una piattaforma per il dialogo tra artisti internazionali e un’opportunità di collegamento per le due sponde del Mediterraneo.

La presenza di giovani di così tante nazionalità, in rappresentanza di paesi con realtà profondamente diverse, tanto quanto il tentativo di costruire uno scambio, sono scelte etiche che hanno forti valenze politiche. L’arte – dice la presidentessa Dora Bei – deve diventare un segno di cambiamento, anche se non immediato, e deve lanciare il suo messaggio di speranza per il futuro.

Andrea Bruciati, curatore di Mediterranea 17

Gli artisti partecipanti alla Biennale hanno provenienze diverse e sono stati selezionati dalle commissioni delle varie città. In quanto curatore, come è stato svolgere un ruolo di coordinamento, considerando che gli artisti che provenivano da selezioni precedenti?

Io sono subentrato successivamente all’uscita del bando, per cui dove ho potuto sono intervenuto all’interno delle giurie e ho dato delle indicazioni, dei parametri di valutazione, basati sul sottotitolo della manifestazione che è tratto da Amleto. Quindi in sede di valutazione, più che riguardo le proposte degli artisti, sono intervenuto sulla giuria. In alcuni casi la mia è stata una voce attiva, mentre in altri mi sono arrivate anche delle opere che, con tutta la franchezza, non ho trovato così rispondenti, è un rischio. Nonostante questo, attraverso l’allestimento abbiamo cercato di dare rispetto a tutte le proposte arrivate e fare in modo che anche quelle che meno coerenti con i parametri da me suggeriti potessero avere comunque un senso all’interno del percorso espositivo. La mia è stata in molti casi una funzione di grande mediazione, proprio perché la maggior parte delle opere giunte non erano state direttamente selezionate da me.

Anche l’allestimento, dunque, ha avuto un ruolo importante nella creazione di un sistema unitario?

L’allestimento è stato fondamentale. Lo Studio Rotella che ci ha supportato è stato estremamente attento a quest’idea di processualità lenta, sia da parte degli artisti sia da parte del fruitore; ci ha seguito ed è stato molto efficace nel ripensare l’intero spazio come uno spazio organico. Tutti gli elementi, dalla gradualità delle cromie della pannellatura, al posizionamento dei pannelli con angoli vivi, alla scelta del corrugato per nascondere le canalette dell’energia e della luce, hanno seguito questa idea di qualcosa che viene facendo, di qualcosa di organico.

Considerando la diversità tra gli artisti e le loro provenienze, è stato possibile trovare un collegamento tra le opere? Ci sono dei temi comuni che emergono nell’esposizione?

Secondo me l’efficacia delle opere si evince soprattutto laddove l’artista non ha interpretato in senso letterale e narrativo l’idea di cibo e di nutrimento, ma laddove c’è stata quasi la spiegazione di una metafora, quando c’è un rimando ma rimane sotteso. Questo proprio perché, a mio avviso, il compito dell’artista è quello di trasportarci al di là di una cronaca, del fatto, ma è colui che crea dei flussi di energia tali per cui la materia bruta diventa qualcos’altro, diventa un concetto, uno slancio che apre altre prospettive. A mio avviso, le opere che più hanno risposto alla mia idea metamorfica del cambiamento, quasi alchemica e di alterazione dello stato, che hanno seguito questo tipo di indicazioni sono quelle che hanno maggiormente centrato l’obiettivo della manifestazione.

Quant’è importante la promozione della creatività giovanile e del lavoro dei giovani artisti in Italia, anche attraverso questo tipo di manifestazioni?

Questo lavoro di promozione dei giovani io lo faccio da vent’anni. In ambito artistico mi occupo principalmente di arti visive, non sono un esperto di moda o di arti applicate, però fin da subito, nell’incarico che ho avuto per dieci anni come direttore di uno spazio museale, ho sempre concepito lo spazio come un campo di discussione, un campo di confronto, dove l’indagine fra gli autori fosse sempre viva, anche con grande criticità. Quindi secondo me un paese che non promuove e non sostiene le giovani generazioni non ha futuro, e sono vent’anni che attraverso il mio lavoro cerco di dimostrare questo. Quando sono stato invitato a dirigere questa manifestazione, ovviamente mi sono fatto degli scrupoli iniziali perché toccava alcuni campi di cui non avevo piena conoscenza e che non possedevo interamente. Però è stata anche per me una sfida per capire in che modo delle sezioni creative diverse potessero confluire in qualcosa di inedito, qualcosa di stimolante. Gli artisti solitamente si nutrono di saperi, di campi conoscitivi che in qualche modo innervano in maniera positiva la loro speculazione, quindi mi sembrava interessante entrare in questa specie di laboratorio e come un chimico dosare i diversi tipi di minerali e di ingredienti.

Avrebbe un consiglio per un giovane artista e per un giovane curatore che si approccia a questo mondo?

Il mio consiglio è di fare esperienze anche all’estero, che servono per avere un arricchimento proveniente da altri contesti culturali, e di lavorare, proprio nel senso di fare, perché così intanto si sbaglia e si migliora. Poi, un consiglio generale e fondamentale, è di avere tanta pazienza ma essere ben determinati sullo scopo che si vuole raggiungere, ma anche con una gran dose di umiltà. Se non si è in qualche modo consapevoli dei propri limiti non si può veramente andare avanti, e questo è qualcosa che spesso invece un giovane dimentica. Anche nel modo di porsi e nelle proposte che sostiene, questa sua “arroganza positiva” a volte rischia di uccidere in erba dei potenziali artisti e professionisti.

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