Ho avuto l’occasione di intervistare i tre artisti protagonisti di Repertum, ogni dato emerso. Ho chiesto loro quali fossero gli stimoli che li hanno portati ad affrontare questa sfida e ad intervenire con opere di arte contemporanea in un museo che custodisce reperti antichi.
Francesca Manni: Ciao Antonio, vorrei chiedere, innanzitutto, quale aspetto ti ha colpito maggiormente di questo progetto?
Antonio Guiotto: Sicuramente la possibilità di lavorare con un curatore giovane, probabilmente alla prime esperienze, che è riuscito a creare una serie di interrogativi molto interessanti, che abbiamo sviluppato insieme all’interno del Castello. Mi ha stimolato molto l’idea di poter lavorare su un posto antico con progetti di arte contemporanea, anche se questa non è una novità, rimane una sfida per noi artisti: cercare un dialogo tra il nostro passato, il nostro presente, lasciando interrogativi sul nostro futuro.
FM: Ormai sei un artista che si sta affermando nel mondo dell’arte contemporanea. Parlando delle istituzioni del territorio, che rilevanza ha avuto, o ha tuttora per te l’esperienza al GAI di Padova e i lavori con l’Area Creatività?
AG: Chiamo il GAI “mamma GAI” perché è stata e continua ad essere un’istituzione con la quale si possono confrontare i giovani artisti, come è successo a me. Sono contento di aver fatto con loro le prime esperienze. Sicuramente mi ha permesso poi di sviluppare una certa professionalità. È un’istituzione che ho sempre rispettato e alla quale mi sento legato. Sono cresciuto grazie all’Area Creatività, e con loro continuo a mantenere un contatto non solo professionale, ma anche umano e di amicizia.
FM: Alex Bellan, come hai deciso di intervenire con un progetto di arte contemporanea in un contesto dedicato ai reperti antichi?
Alex Bellan: Il mio lavoro si è innestato in questa proposta per l’affinità che ha con lo spazio. Non è uno spazio dedito all’arte contemporanea, ma trattiene in sé una sensibilità e conserva una serie di tradizioni che mi interessa sottolineare. È uno spazio marginale e non sempre valorizzato, ma io ritengo sia un piccolo gioiello del territorio. I miei due lavori, pur non essendo inediti, hanno trovato un tipo di collocazione ed allestimento originali, che vanno a sottolineare l’idea di distanza. Un enorme spazio vuoto, infatti, li divide. Mi interessava questa dimensione di vuoto nei due lavori e il significato che questo può innescare nella lettura di entrambi. Il progetto è nato da una sensibilità radicata nella voglia di accendere un piccolo riflettore all’interno di un territorio con il quale condividiamo le nostre radici.
FM: A tale proposito, che rilevanza ha avuto, o ha tuttora per te l’esperienza al GAI di Padova e i lavori con l’Area Creatività?
AB: Il GAI è stato la prima esperienza che ho avuto come artista. Un modo per imparare e mettermi in gioco. Ha avuto un ruolo propedeutico per la pratica che continuo a svolgere. La terza artista selezionata da Marco non è originaria del territorio padovano, ma lavora con la geografia, attraverso la manipolazione di cartine e dei confini fisici e politici, che lei modifica creandone di nuovi ed immaginari.
FM: Elena Hamerski, non vivi nella provincia di Padova, e anche per questo il tuo lavoro risulta interessante per la capacità di integrarsi con il luogo. Cosa ti ha spinto ad accettare la proposta del curatore?
Elena Hamerski: I miei lavori si concentrano sulla manipolazione di le cartine geografiche, anche molto datate, quindi parte già dal reperto. Da parte mia la risposta positiva al suo invito è stata naturale, è un progetto che sento molto vicino. Ho deciso di legare l’idea della cartina e del reperto con un materiale che riesce a creare delle situazioni liquide, con una consistenza che può ricordare quella dell’acqua: il gesso. Così ho creato questi oggetti che sono bacinelle di gesso, che tengono uniti ritagli di cartine geografiche.
FM: La tua esperienza con il GAI si è svolta in un’altra regione. È stato importante per la tua formazione artistica?
EH: Il GAI di Forlì in passato è stato molto attivo e anche ora ricevo proposte interessanti. È stato un punto di partenza molto stimolante per molti artisti del territorio di Forlì. Molti risiedono ormai all’estero anche grazie al lavoro del GAI. Purtroppo per me, invece, è stata una parentesi non molto felice, e non mi è stato permesso di sfruttarlo come avrei voluto.